Una giornata di irrequietezza, sono nervosa e distratta, non riesco a concentrarmi su nulla. Nemmeno su cosa voglio. Mi sento scontenta. Quasi non so cosa ci faccio al mondo.
Vado a rileggere un paio di appunti che avevo buttato giù l’anno scorso in una giornata di malumore come oggi e mi colpisce quello che ho scritto.
“Prendersi cura delle piante è un bel modo di prendersi cura di se stessi e del mondo.
Sarà vero che l’orto o il giardino fanno bene? Mi sono chiesta, così ho deciso di affrontare una verifica personale “ sul campo”. Ho voluto provare quali emozioni e quanto divertimento provavo a trafficare tra le piante.
Prendo la via dell’orto/giardino. Questo vuol dire legarsi alla cintola il fodero con le cesoie, salire al prato. Lasciare la macchina all’imbocco del sentiero e camminare per raggiungere l’orto e il frutteto, strada facendo tagliare un rametto secco e già che ci sono vedere se le more sono mature. Si, le prime: belle nere, così sugose che quando le stacco per mettermele in bocca mi tingono le dita.
Già solo a mangiare le more mi sono scordata dei problemi della giornata. Quando arrivo nell’orto non so più nemmeno perché ci sono venuta. Mi guardo intorno. I pomodori sono cresciuti, vanno legati ai sostegni altrimenti con il vento si spezzano e poi diventano tutti un intrico. Le zucchine hanno sete. Il basilico va cimato, magari ci faccio un pesto.
Traffico tra le piante e loro mi dicono perché sono qui: hai noi da accudire.
Prenditi cura di noi, ricambieremo con un invito a pranzo. Ti daremo il meglio di noi. Sono riornata a casa con il cestino pieno di cose buone. Il vento ha soffiato via le nubi. Vedo l’azzurro del cielo.”
E’ una piccola risposta a cosa ci faccio io al mondo: è bello il semplice essere qui. Come sarebbe triste non esserci affatto!